domenica 16 settembre 2012

Romanzi a New York #93: Un Giovane Artista Italiano a New York


E' il momento di uno degli oggetti più oscuri della mia collezione di libri newyorkesi.
"Un Giovane Artista Italiano a New York" è un titolo del 1926, scritto da Giuseppe Filotti e pubblicato da una piccola casa editrice di Torino, la Alberto Giani Editore.  Filotti, ingegnere con la passione della scrittura, racconta le vicissitudini di Mario Ferraris, giovane ingegnere e pittore di talento, emigrato negli USA in cerca di fortuna. E Ferraris a New York troverà tutto quello che cerca: lavoro e amore, non necessariamente in quest'ordine. La vicenda è banale, la storia uguale a mille storie: Un giovane spiantato ma di talento (Mario Ferraris), una bella ragazza di ottima famiglia che si nasconde dietro umili condizioni (Betty), uno spasimante arrogante (Alvarez), una matrigna dispotica (Lady Mary), un padre burbero che si ravvederà (il signor Strong), un artista mentore (il signor Gray). Siamo dalle parti del romanzetto rosa dal lieto fine obbligato, scritto con un linguaggio che non solo mostra tutti i suoi ottant'anni ma che potrebbe appartenere anche a qualche secolo fa: "La partenza di un piroscafo dal porto di Genova per le lontane Americhe è sempre uno spettacolo imponente. Fra la moltitudine che sta sul ponte della nave, quanti mirano con occhi umidi di lagrime Genova e quei monti, ultimi lembi della Patria, che a poco a poco si allontanano e che forse non rivredanno mai più!".
Come incipit non c'è male. Ma c'è di meglio. Il Ferraris si innamora di Betty e le lancia dei messaggi espliciti nel contenuto ma dalla forma lessicale avventurosa: "Mia buona e cara Miss, in questo periodo che sto passando, periodo di dura lotta, ed anche di povertà, le debbo confessare, ella mi è apparsa come un raggio di luce; colla sua bellezza, colla sua affabilità mi trasporta in un mondo ideale, tutto diverso dal reale in cui vivo e coll'esaltazione che provo, le dico che sarà ben felice colui che, essendo degno di lei, ne dividerà l'esistenza e dovrebbe avere un cuore di macigno per non amarla quanto merita". Eppure dietro la costante proposta di luoghi comuni, di parole antiche, di buoni sentimenti da cartolina, di frasi da Baci Perugina, di lacrime, palpiti, carezze e sguardi languidi c'è qualcosa su cui riflettere. 
Questo volume esce in un anno in cui l'Italia stava vivendo in pieno l'espansione del fascismo, con il varo del nuovo statuto del Partito Nazionale Fascista. L'Italia del duce è in una fase autarchica e produttiva. Nascono l'Agip che inizia a produrre carburanti miscelati con alcool e fa nuove ricerche petrolifere, e poi la Viscosa che produce fibre artificiali, al tempo stesso però vengono chiusi a ripetizione bar, negozi, osterie e altri 25.000 "spacci di rovinosa felicità". L'Italia di Mussolini però non scoraggia quella che oggi sarebbe chiamata  la fuga dei cervelli, anzi: un italiano di valore non può far altro che diffondere nel mondo il verbo dell'italianità. La stessa America vede nell'Italia un mercato promettente e virtuoso e fa persino sbarcare nel nostro paese la Coca Cola, che costruisce il primo stabilimento italiano per l'imbottigliamento. E quindi Mario, il colto e laureato Mario, spera nell'America, in New York, e nonostante il titolo di ingegnere edile, inizia a lavorare da operaio nell'officina di un certo Steak: "Sappiate che molti grandi uomini Nordamericani cominciarono la loro fortuna così. Qui non siamo in Italia ove voi avreste vergogna di accettare un lavoro apparentemente umiliante di fronte a chi conosce le vostre condizioni intellettuali. Credetemi, qui nessuno si occupa di voi: siete giovane, forte, presto colla vostra intelligenza, e col vostro lavoro, potrete aprirvi una buona strada". Mario sogna e lavora, dipinge e lavora, progetta e lavora, s'innamora e lavora e tra le prime parole inglesi che impara c'è overall, l'abito da lavoro che costituisce il suo primo acquisto newyorkese.
L'autore è scarso di descrizioni cittadine, la New York raccontata da Giuseppe Filotti spazia dalle grandi ville padronali sull'Hudson, ai moli delle grandi navi transatlantiche sino al verde del parco di Riverside Drive. Manca la New York verticale che in quegli anni non aveva dato ancora il meglio di sé ma aveva già mostrato al mondo la sua imponente skyline.
Il sogno americano è alla base di questo piccolo e misconosciuto libro, si capisce che l'autore ama il Nuovo Mondo, magari lo preferisce all'Italia di quegli anni e trova il modo di esprimere questo suo sentimento attraverso un romanzetto per signore, che potesse essere letto da molti senza tanti vincoli e censure. O almeno così mi piace pensare.
Un Giovane Artista Italiano a New York, Giuseppe Filotti, Alberto Giani Editore, 1926