martedì 5 aprile 2011

Romanzi a New York #43: Il Figlio di New York


Nella seconda metà del secolo scorso buona parte della letteratura italiana per ragazzi era ancora caratterizzata da romanzi strappalacrime, con protagonisti orfani maltrattati se non rapiti, bambini destinati ad affrontare dolori e disgrazie come ineluttabile percorso di formazione prima del sospirato lieto fine.  
Trame semplici quanto improbabili, riempite di effetti melodrammatici che fanno da contorno a storie un po’ sconclusionate e vagamente ispirate, almeno nelle intenzioni, ai classici Cuore di De Amicis o, guardando più in alto, a Oliver Twist di Charles Dickens. 
Il Figlio di New York di Lia Spezzano, pubblicato nel 1956, non si discosta da tutto ciò, anzi ne è un esempio perfetto. Ma non è il valore letterario a rendere interessante questo volume.
Aldilà dell’aspetto collezionistico (il libro, di grande formato e illustrato, fa parte della storica Collezione per Ragazzi dei Fratelli Fabbri Editori) è la figura dell’autrice e del suo legame con New York che, in questa sede, va approfondito.
Lia Spezzano, emigrata negli USA negli anni 40, è stata una delle protagoniste di quel movimento culturale degli "esiliati" dalla guerra che hanno esportato oltreoceano la nostra espressione letteraria.
Negli USA in quegli anni non c'erano solo gli intellettuali più famosi come Giuseppe Prezzolini o Giuseppe Antonio Borgese ma esisteva un nutrito gruppo di italiani e italoamericani che tenevano viva la cultura italiana sulle pagine dei quotidiani come Il Progresso Italo Americano o nei circoli di Union Square.
Non solo scrittori e poeti ma anche scrittrici e poetesse. Lia, insieme a Maria Vecchione, Mary Iacovella e la più celebre Francesca Vinciguerra nota come Frances Winwar erano forti sostenitrici della nostra identità intellettuale e lo facevano con entusiasmo, arrivando in alcuni casi a scambiarsi pubblicamente lettere in versi, quasi a far rivivere l'epoca rinascimentale della tenzone letteraria.
Tra la copiosa produzione di romanzi, poesie e traduzioni di Lia Spezzano Il Figlio di New York rappresenta fin dal titolo questo legame tra Italia e America, e poco importa se la trama e la descrizione della città cadono nella retorica: "In quel ridente mattino l'Hudson appariva una immensa fascia azzurra in cui, come in uno specchio, si rifletteva la purezza del cielo mattutino. I palazzi di Riverside Drive uscivano dal verde copioso della riva come visi lavati di fresco, e il sole li faceva scintillare."
Eppure non è tutto così banale come ad esempio la fase in cui il giovane protagonista viene adottato da un'intera redazione di un giornale (il "World News") che racconta giorno per giorno la vita del trovatello su una rubrica intitolata, per l'appunto, "Il Figlio di New York", rubrica che contribuisce a moltiplicare la tiratura del quotidiano: "Ogni occhio ansioso correva a posarsi sulla seconda pagina, già annunziata attraverso la radio, in cui sarebbe apparsa per la prima volta una colonna speciale con le notizie del piccolo Bobby."
L'occhio dei media su una angosciosa realtà trasformata in intrattenimento anticipa, anche se in forma embrionale, alcuni temi molto attuali.
Reperire questo volume, neanche a dirlo, non è stato semplice ma ne è valsa comunque la pena, anche solo per ricordare questa autrice e tutto il mondo che ha rappresentato.
Il Figlio di New York, Fratelli Fabbri Editori, 1956