sabato 25 dicembre 2010

Romanzi a New York #27: Atlante Americano


Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952) è una delle figure intellettuali più interessanti, e mai troppo ricordate, del nostro Novecento. Giornalista, docente universitario, romanziere e critico letterario nel 1931 si “auto-esilia” negli Stati Uniti per non giurare fedeltà al Partito nazionale fascista e vi rimarrà sino al 1948.
In quegli anni americani, vissuti soprattutto a New York, Borgese scrive questo Atlante Americano, la cui pubblicazione, prevista per il 1936, viene di fatto impedita dalle autorità a causa delle ferme posizioni contro il regime che l’autore aveva assunto in alcuni articoli scritti per il Corriere della Sera (a riguardo delle vicissitudini editoriali di Borgese si rivela preziosa l’introduzione al volume di Ambra Meda).
Il volume uscirà comunque nel 1936 ma in maniera quasi clandestina e a tiratura ridottissima per l'editore Guanda (forse in meno di 200 copie), che la ristamperà ufficialmente nel 1946 e solo in tempi recenti se ne sono ricostruite le tracce per una nuova pubblicazione curata dalle edizioni Vallecchi.
Borgese arrivato nella City sul Vulcania (nave che abbiamo già incontrato nel libro di Marcella Olschki, ndr.) racconta New York con sguardo acutissimo e raffinato. Dopo una iniziale diffidenza mista a smarrimento l'autore si immerge nella città e volge, come naturale, spesso lo sguardo verso l'alto: “Subito vi fu la ricerca dell’ardito stil nuovo, del capriccio esornante, di una tintinnante, inedita allegrezza: ultimo capolavoro del genere il Bilding d’una grande ditta d’automobili, veramente il gioiello di New York, un minareto, un faro, del cui fastigio, ch’è un cono di scaglie, il pinnacolo parte come un dardo: lunatica o arabesca fantasia, di sorprendente grazia che costringe a sorridere questo cielo grave”). Ecco, questo è il Chrysler Bulding di Borgese.
Ma non di solo grattacieli, anzi di Bilding secondo la neologistica italianizzazione del vocabolo, vive la città. L'autore passa con eleganza da aspetti architettonici ad analisi sociali sino ad osservazioni curiose e ironiche che vanno dal ruolo dei cinema alla diversità degli armadi e delle finestre, alla meraviglia per le grandi stazioni dove si vede e si trova di tutto a parte i treni.
Anche se nei capitoli del libro si raccontano alcuni aspetti di New York che appaiono superati (Harlem, Brooklyn, il Central Park e il verde pubblico oggi sono molto diversi) resta la capacità di cogliere l’essenza di tante realtà ancora immutate e quella sensazione, quasi epidermica, di democrazia: “L’Uomo Comune. Egli è la vera sostanza di New York e dell’America, il suo senso, il suo futuro. Quest’essere, a primo senso insipido, distingue i due continenti più che la voragine di acqua salata… la cultura ottocentesca, da cui tutti deriviamo, in Europa mirò al Superuomo, in America all’Uomo Qualunque. Nietschze fu l’europeo, Whitman l’americano”.
I paragoni sono tanti e mai scontati, come quello con la città di Venezia, quasi poetico: “Forse New York, navigandosi nella baia, può parere un’enorme Venezia, da un battello del Lido? I marmi rosa di Wall Street, se il sole li fa dolci, rammentano il Palazzo Ducale: a sinistra l’Empire State Building, già in un’ombra vellutata, è un campanile.” Un paragone sopraffino, che Adam Gopnik ri-scoprirà, sicuramente inconsapevole, quest’anno nel suo Una Casa a New York.
Le altre esplorazioni americane dell’autore(California, Chicago, Washington) arricchiscono l’ ”Atlante” di Borgese ma New York è e resta la vera protagonista, la fonte delle emozioni, la città assoluta dove “ciò che è nuovo non si vergogna di esser tale”.
Atlante Americano, Giuseppe Antonio Borgese, Vallecchi, 2007