venerdì 30 marzo 2012

Romanzi a New York #84: Le Mille Luci di New York

Ho un particolare ricordo di questo libro, un ricordo personale e, per me, molto emozionante. È il libro che ho letto nel 1986 per ingannare le otto ore di volo del mio primo viaggio a New York. Era un viaggio tra amici (Io, Alessio e Fabio) che avevano risparmiato per mesi pur di passare due settimane a Manhattan. Dopo quattordici giorni tornai a casa con un dollaro e 85 centesimi in tasca (e questo faceva di me il più ricco del gruppo) e con qualcosa in meno: avevo dimenticato il libro in albergo, l'Hotel Century Paramount sulla 46esima, oggi chicchissimo hotel con gli interni ridisegnati da Philippe Starck, all'epoca un più fascinoso rifugio per turisti nostalgici dei film di Frank Capra. Terminata la premessa in stile chissenefrega, per non dire di peggio, passiamo al libro, oggi reperibile nella serie "i Grandi Tascabili" della Bompiani, e che grazie al mio celebre spacciatore di volumi usati ho recuperato nella prima edizione, quella che avevo perduto.
Le Mille Luci di New York (Brights Light, Big City) di Jay McInerney non è un libro sulla New York degli anni 80 è "il" libro della New York degli anni 80. Il giovane protagonista, del quale l'autore non fa mai il nome, nell'arco di un breve spazio di tempo perde tutto: la madre, la moglie Amanda di professione modella, il lavoro nella redazione di un mensile... e per dimenticare inizia il suo peregrinaggio tra i locali di New York, innaffiandosi tra un giro e l'altro - e volentieri anche durante - lo stomaco di alcool e il cervello di cocaina. La scrittura di McInerney è frenetica, torrentizia e minimale. Il racconto in seconda persona rende la storia ancora più partecipata per il lettore che si trova a vivere quegli anni in cui New York si trasformava nell'immaginario collettivo - ma anche in buona parte nella realtà - dalla pericolosa e malfamata città degli anni 70 alla edonistica e affaristica città delle scalate in borsa, delle modelle e della cocaina come minimo comune denominatore di buona parte della società emergente, fosse quella di Wall Street o delle sfilate di moda.
Il nightclubbing nasce in quegli anni e Tad Allagash, l'amico del protagonista, ne è il portabandiera: "La missione di Tad nella vita è di divertirsi più di chiunque altro a New York City, e questo prevede un sacco di spostamenti, dato che esiste sempre la possibilità che il posto in cui non ti trovi sia molto più movimentato di quello in cui ti trovi." L'autore racconta la città con lucida ironia, sviluppa le sue fotografie narrative e le correda di battute fulminanti: "Passi davanti a una serie di cartelli RAGAZZE, RAGAZZE, RAGAZZE... dopo la quarantesima i cartelli agli incroci cambiano: La Settima Avenue diventa Fashion Avenue. Stai entrando nel quartiere Pret a Porter... prima della Quarantaduesima si vendono donne senza vestiti, dopo la Quarantaduesima vestiti senza donne."
Il girovagare, notturno ma non solo, diventa una guida sui generis della città, una guida esistenziale, fatta di descrizioni che si mescolano a sensazioni e pensieri, una New York fisica e metafisica al tempo stesso: "Fuori nella luce del sole, tra la Quinta Avenue e il Plaza, un gigantesco castello bianco che si erge in mezzo all'isola di Manhattan come un sogno da Nuovo Ricco del Vecchio Mondo. Appena arrivato a New York, hai passato una notte qui con Amanda... la stanza al decimo piano era piccola e dava su un cortile interno. Non potevi vederla, la città, dalla finestra, ma sapevi che era lì, ai tuoi piedi".
L'anonimo protagonista è in cerca di redenzione, punta alla rinascita e alla fine sarà proprio la città, colta in uno dei suoi aspetti minimi dalle parti di Canal Street, a lanciargli un messaggio e a fargli sentire il profumo, non solo in senso metaforico, della vera vita. E da lì, forse, ricominciare.
Ho detto troppo? O troppo poco?
Le Mille Luci di New York, Jay McInerney, Bompiani, 1986