martedì 10 gennaio 2012

Romanzi a New York #74: America


Entrare in una libreria e trovare un libro di Charles Dickens (1812-1870, a proposito il 7 febbraio ricorre il 200esimo anniversario della nascita) dovrebbe essere come andare dal tabaccaio e trovare i francobolli o andare in farmacia e trovare la confezione giusta per la medicina del bambino. Invece no, dal tabaccaio i francobolli sono finiti ma è pieno di portachiavi e in farmacia, che è piena di giocattoli, per avere quello che cerchiamo basterà "un giorno di pazienza, gliela ordiniamo subito".
E così accade che se chiedo in libreria una copia di America (American Notes) di Charles Dickens perché c'è un capitolo straordinario dedicato a New York, possiamo sentirci rispondere che non è immediatamente disponibile, però "di ambientato a New York è stato appena ristampato il primo libro di Fabio Volo, che c'hanno fatto anche il film".
Bene, grazie.
Fortuna che ho il mio pusher di libri usati, del quale, non stancherò mai di ripetermi, non rivelerò il nome e zona di spaccio neanche sotto interrogatorio con tecniche della CIA.
Il bravo Angelo, uso questo nome di fantasia perché mi sembra appropriato, mi ha passato subito una bella copia rilegata di America edita dagli Editori Riuniti nel 1982 e anche in ottime condizioni. La traduzione è quella che Gianfranco Corsini e Gianni Miniati curarono per la prima edizione italiana del volume, datata 1951 per la Cooperativa del Libro Popolare, riproposta ancora da oggi da Feltrinelli per la loro collana di classici tascabili.
Aperto il libro è il caso di andare a pag. 89 di questo mirabile diario di viaggio che lo scrittore inglese ha compiuto negli Stati Uniti nel 1842.
Per Dickens l'America era coma la Cina per Marco Polo, aveva un desiderio immenso di visitarla, di scoprirla, di raccontarla in un volume come ha fatto. L'esperienza, soprattutto quella newyorchese, fu meno gratificante di quanto si aspettava. Sarà perché visitò New York City dopo aver visto l'artistocratica ed elegante Boston, ma già il primo approccio non è dei migliori: "La bella metropoli americana è senza dubbio meno pulita di Boston".
Dickens osserva tutto ciò che ha intorno con acutezza, si sofferma sui particolari di quella New York di metà ottocento fornendoci una testimonianza magari non molto oggettiva, forzata dai continui paragoni con la "sua" Londra, ma comunque di una raffinatezza ed un interesse senza pari.
"Il cielo protegga l'abbigliamento delle signore!In questi dieci minuti abbiamo visto più colori di quanti avremmo potuto incontrarne in altrettanti anni." Alle note sulla stravaganza Dickens alterna osservazioni sull'efficienza e la grande quantità dei mezzi di trasporto, individua come il cosmopolitismo sia già una caratteristica sociale "i bompressi delle navi s'incrociano sui marciapiedi fin quasi a infilarsi nelle finestre, sono i nobili vascelli americani vhe hanno fatto del loro servizio postale il migliore del mondo. Sono essi che hanno portato qui gli stranieri che abbondano in tutte le strade. Non che ve ne siano più quiche nelle altre città commerciali, ma alle altre parti frequentano certi luoghi particolari e bisogna andare a cercarli; qui invece hanno invaso ogni angolo della città". Con il passare dei giorni l'itinerario newyorchese di Dickens si indirizza verso il lato oscuro della città, oltre la soleggiata Broadway delle signore dalle sete colorate ma dove circolano liberi anche dei maiali tra cui uno particolarmente ammirato dall'autore, "un maiale libero, disordinato e indifferente... si tratta, con tutto il rispetto, di un maiale repubblicano, che se ne va dove vuole, mescolandosi alla migliore società". E' chiaro che le Grandi Speranze di libertà, giustizia e progresso riposte nella visita newyorchese stanno prendendo una inattesa deriva.
Lo scrittore inglese si fa accompagnare nei vicoli più malfamati, come quelli della zona di Five Points: "Eccoci qua: queste viuzze che si incrociano fitte rigurgitano di infamia e sporcizia... il vizio sembra aver fatto invecchiare precocemente anche le case".
Questa calata negli inferi della città prosegue con la visita al carcere noto come "The Tombs" (Le Tombe) definito "squallido colonnato di stile bastardo egiziano", si fa aprire le celle, gira per i poveri tuguri abitati dagli uomini di colore, si spinge nel manicomio, nei rifugi per poveri. Aldilà delle oggettive e disagiate condizioni di vita degli sfortunati ospiti di quei luoghi, il ritratto della New York dickensiana non può certo definirsi gioioso, e anche il suo soggiorno fu contrastato dalla stampa americana che lo accusava di essere venuto in America solo per portare avanti la battaglia del diritto d'autore internazionale, all'epoca senza regole, che consentiva ai giornali americani di pubblicare gli scritti di Dickens senza versare un centesimo.
Le pagine newyorchesi di Dickens restano comunque mirabili ogni oltre strumentalizzazione, testimonianza d'autore della città colta in un periodo ancora confuso della sua storia, in bilico tra aristocrazia e povertà, ma con già in embrione la forza della multietnicità e dell'innovazione sociale, architettonica e industriale.
America, Charles Dickens, Universale Economica Classici Feltrinelli, 2008