Spesso le
sue storie sono basate più sulla suspense che non sul thrilling, con il lettore
che viene messo a conoscenza di indizi ed eventi ancora sconosciuti ai
protagonisti della trama, in modo che a prevalere sia la tensione sul come i personaggi usciranno dalle situazioni di pericolo e, soprattutto, se ne usciranno.
New York:
Novantunesima Ovest (Where Helen Lies) non si sottrae a questo schema.
C’è una
ragazza, Helen, che si risveglia in una squallida stanzetta di un albergo senza
ricordare nulla del passato. Ha con sé una borsa dozzinale, un anello di
grande valore e una fede nuziale molto più grande del suo dito, una
manciata di dollari, un ritaglio di giornale con un’offerta d’impiego presso un
istituto di ricerche, una busta – vuota - indirizzata a una certa H.
Carter.
L’indirizzo
sulla busta (quello del titolo) è l’unico indizio ma lì c’è solo un alberghetto
bruciacchiato. Di carne al fuoco (è il caso di dirlo) ce n’è sin troppa e da
qui parte il mistero che coinvolge poliziotti e
poliziotte professionisti, ex attori in disgrazia e un ex diva sfigurata,
una segretaria innamorata, una maliarda innamorata, un cugino innamorato, un
agente cinematografico innamorato, una poliziotta che si innamorerà, una “zia”
premurosa, un benefattore, un avido amministratore, un barista hippy, un conduttore televisivo, un'organizzatrice di tornei di bridge...(ho dimenticato qualcuno? Chissà...)
E
poi c’è Glenn Richardson, titolare di una agenzia di ricerche per conto terzi
che si improvvisa investigatore (in tempi in cui Google non esisteva è a gente
come lui che si rivolgono politici, personaggi radiotelevisivi o chiunque abbia
bisogno di dati per preparare un discorso): "La Richardson Ricerche era
segnalata da una nitida placca di una vecchia casa privata nella Ventesima
ovest. Era una palazzina a quattro piani con un cortiletto antistante e un
seminterrato. Quattro scalini conducevano alla porta principale, verniciata di
fresco, con un battaglio lucido. La palazzina, posta tra un magazzimo e un
ristorante all'aperto, faceva uno strano contrasto".
Ed è così
che il lettore si trova, con i dovuti paragoni, trascinato dentro atmosfere
hitchockiane di film quali Marnie o La Donna che Visse due Volte, trasportate
nella New York degli anni 70, difficile da vivere, ma sempre
affascinante: “La giornata era così mite che il detective Walker tenne
l’impermeabile sul braccio. Era un pezzo che non trovava il tempo per fare due
passi. C’era un venticello che sollevava pezzi di carta straccia. Una città
sporca, si disse. Pericolosa. Criminale. Eppure lui ne amava ogni metro
quadrato. Mai, nemmeno per un istante, avrebbe considerato l’idea di vivere
altrove.”
L’autrice si
trova a proprio agio nel descrivere le ambientazioni altoborghesi di New
York (“La casa di Gramercy Park era una palazzina a tre piani, in ottime
condizioni, evidentemente di proprietà di gente facoltosa”), ma quelli sono
anche gli anni dei fricchettoni del Village, luogo di culto divenuto però già
attrattiva turistica e meta di pellegrinaggio per pullman organizzati: “Il
Rifugio degli Artisti” si trovava nell’Ottava Strada; era una saletta piccola e
buia con un bar da un lato, e dei tavolini apparecchiati con tovaglie a scacchi
rossi sparsi qua e là, con un’alta candela al centro di ogni tavolo… i piatti
elencati nella lista scritta a mano erano pessimi e costavano cari.”
E così tra
identità misteriose, eredità milionarie e gioielli di gran valore, l’indagine e
gli amori si sviluppano di pari passo e, a volte, si confondono in un crescendo
di suspense.
Il
linguaggio della Foley è semplice, i dialoghi concisi quando non telegrafici,
ma c’è comunque ricercatezza e abilità nel tessere la trama. La Foley tra il
1950 e il 1978 ha scritto 49 libri, quasi tutti ambientati a New York City, e i
suoi romanzi di genere ci fanno girare per le vie e per i quartieri della città
con un coinvolgimento a volte molto più intenso rispetto a testi di autori più
famosi.
New York:
Novantunesima Ovest, Rae Foley, Il Giallo Mondadori n. 1503, 1977.